“La carne è muscolo. Il muscolo è movimento. Il movimento è animazione. L’animazione è la manifestazione dell’anima. La carne è, dunque, anima.” – Sconosciuto (mai esistito), XXI secolo.
Per gran parte della nostra storia, l’utilizzo della carne, a scopi alimentari, è stato oggetto di profonde controversie. Alle motivazioni di carattere religioso ed etico si sono sovrapposte considerazioni relative alla sostenibilità ambientale ed alla salute del nostro corpo. Tutte quante volte a vietarne o limitarne il consumo.
La conflittualità con la carne non è una questione confinata alla sola dieta alimentare. La carne, in senso lato, evoca i limiti insiti nella specie umana, divenendo simbolo della nostra corruttibilità. Nell’uomo, la carne è la parte che si contrappone allo spirito; rappresenta, dunque, l’insieme di molte delle fragilità tipiche della nostra sensualità, ovvero, di quella particolare modalità di compiere esperienze tramite l’utilizzo dei cinque sensi.
Ci sarebbe da considerare anche l’etimologia della parola animale: la stessa di anima. Limitandoci – per ora – ad una riflessione circa l’aspetto dell’alimentazione, fino alla prima metà del secolo scorso, anche lo spirito dell’animale veniva “assimilato” attraverso il concetto di sacrificio. Il sacrificio era il rituale per mezzo del quale l’animale era sacrificato, era reso sacro. La carne diventava spirito e l’anima dell’animale diventava materia, trasformandosi nel principio nutritivo per l’uomo, più importante dei grassi, delle proteine, delle vitamine e dei sali minerali.
È di fondamentale importanza considerare il fatto che il rituale del sacrificio durava l’intera esistenza dell’animale e non era limitato al momento della sua morte. L’animale, nel corso della propria vita, diveniva sacro in quanto animale domestico, nel significato più profondo del termine, quello che fa riferimento all’appartenenza alla casa, alla famiglia. Soprattutto nei lunghi periodi invernali, gran parte della vita familiare e sociale delle comunità contadine trascorreva all’interno delle stalle che erano, sempre, attigue alle abitazioni; la vicinanza fisica tra bestie ed umani era la premessa di un’affinità spirituale, di un legame affettivo che culminava nel senso di appartenenza ad una grande famiglia “multirazziale”.
Negli ultimi decenni, il processo di industrializzazione dell’agricoltura ha radicalmente trasformato la nostra considerazione nei confronti degli animali ed il nostro rapporto con loro. Da animali domestici sono diventati animali da reddito. In quest’ottica, le prestazioni che un animale deve essere in grado di fornire sono, concettualmente, molto simili a quelle richieste ad una macchina: produrre molto ed in poco tempo, minimizzare gli scarti e consumare poca energia.
Un animale deve produrre molta carne (grandi fasce muscolari, ipertrofiche). Deve garantire un rapido accrescimento. Deve avere pelle sottile e sezioni ossee piccole. Deve poter convertire materie prime ad alto valore energetico e basso costo (mais e soia) in proteine e grassi, in maniera molto efficiente. Tutto ciò, deve avvenire il più possibile lontano dalle nostre abitazioni e dalle città in cui viviamo. L’animale, esattamente come una macchina, viene progettato, realizzato in serie e migliorato nel tempo. In questo progetto, finalizzato al reddito, non c’è spazio per la componente spirituale (né dell’uomo né della bestia) che, come tutto ciò che fa riferimento alla sfera emotiva, non produce un reddito diretto.
Come è possibile, dunque, non considerare ed ascoltare le critiche, rivolte all’attuale modello di consumo della carne, che provengono da coloro che chiedono rispetto per la vita degli animali, per la salute dell’uomo e per quella del pianeta?
Noi l’abbiamo fatto. Abbiamo incontrato ed ascoltato molti allevatori e abbiamo deciso di sostenere il rispetto animale ed abbiamo deciso di comunicarlo a voi.
È solo una delle tante tappe di un percorso di comprensione che, forse, non avrà mai fine, ma che abbiamo già intrapreso.